"Come te, ci sono anch'io qui,
non riesco a dirti tutto quello che vorrei"
Ad un certo punto la disperazione divenne fredda e color mercurio. Fino ad allora l’avevo immaginata rumorosa e d'un accecante vermiglio.
Invece no, la disperazione è affilata, e si confonde, senza distinguersi, con uno stato di tranquillità quasi irreale, come se avesse palpebre semichiuse. Dentro quello stato si muove determinata, indirizzata sui binari sicuri della necessità.
Tu hai preso una siringa sottile e delicata, e mi piacque la maniera con cui disponesti tutto sul tavolo. C’era un singolare ordine geometrico tra siringa, stagnola, e cucchiaio, ma soprattutto una composizione cromatica che credevo fosse stata pensata.
Non capivo da dove provenisse, ma la stanza era piena dell’odore del pane riscaldato nel forno.
L’ago si piegò, aderendo alla curva del cucchiaio, ed io credevo che potesse spezzarsi da un momento all’altro. Invece succhiò dentro tutto il contenuto, mentre lo stantuffo saliva lento. Sembrava piscio. Poi appoggiasti la siringa sul tavolo, col cappuccio infilato. Ricordo che togliesti tutto dal tavolo, e rimase solo il contenitore delle cartine.
La vena viola del tuo braccio era sollevata, e tagliava in diagonale l’incavo del gomito, come una riga sporca. La toccasti, quasi ad esser sicuro che lì dentro ci scorresse il tuo sangue.

- Mi tieni il braccio? Ho paura di tremare.

Ti guardai, e m’accorsi solo allora delle gocce piccole sopra il tuo labbro. Fui quasi sollevato nel vedere che la disperazione avesse riacquistato i connotati di sempre.

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