Filippo aveva venticinque anni, ma ne aveva percorsi solo metà sulle proprie gambe. Tredici anni prima la bicicletta che aveva ingrassato per tutto un pomeriggio lo aveva sbalzato di lato, e la schiena s’era spaccata sopra uno scalino in cemento. Quando lo sollevarono nemmeno piangeva: le gambe caddero appaiate di lato come se stesse sciando e dovesse affrontare una curva. Il medico parlò di frattura di due vertebre dorsali e lesione del midollo spinale. Poi disse parole come paralizzato, sedia a rotelle, terapia ed altre cose, ma ormai la madre di Filippo aveva nelle orecchie solo un fischio lungo, continuo.
Valentina entrò trafelata in ferramenta e le guance le s’infiammarono di capillari riattivati. Aprì la borsa e tirò fuori la busta gialla: Vincenzo sorrise, la prese e la mise sul tavolo.
Filippo, nell’altra stanza, stava attento ai rumori che catturava. Sentì, ad un certo punto, i passi che si avvicinavano, spostò in avanti la sedia a rotelle verso la libreria, e il suo cuore patì un’aritmia breve.
Valentina tolse il cappotto ed abbassò le calze sulle caviglie. Sostenendosi ai braccioli della sedia a rotelle scese piano sulle ginocchia del ragazzo. Vincenzo le aveva spiegato che il figlio non poteva sentire dolore agli arti inferiori, ma lei non riusciva comunque a rilassarsi sopra le gambe magrissime del ragazzo.
Rimase rigida, senza guardare le mani frenetiche del paraplegico che spostavano le mutandine di lato e infilavano con forza le dita in fondo alla fica.
Il cuore di Filippo, allora, irradiò sangue veloce, che si disperse inutile nelle periferie di un corpo conosciuto per metà. Racchiuse i seni piccoli nei palmi, senza stringere, facendo scorrere le cuciture del reggiseno in mezzo alle dita, che, ogni mese, aspettavano quel giorno per sperimentare aderenze ed umidità rare. Il viso era sprofondato sulla schiena, a respirare il profumo di lei.
Da quando il padre era stato licenziato, la madre di Valentina puliva le scale di sei condomini, uno al giorno, ma i soldi non bastavano per tutte le spese. Valentina, invece, lavorava mezza giornata in una pizzeria ed una volta al mese lasciava che Filippo celebrasse sul suo corpo quella liturgia imperfetta. In cambio, il signor Vincenzo Boniolo offriva un generoso sconto sull’affitto di casa.
Non passarono molti minuti, e la ragazza abbassò il maglione bianco. Quel gesto rappresentava il segnale che l’escursione stava giungendo al termine.
Filippo indugiò sui seni, e Valentina si alzò delicatamente, ma in maniera decisa. All’improvviso, si sentì afferrare i fianchi e Filippo tentò di baciarla, riuscendo soltanto a sbavarle il collo.
- Smettila.
Il ragazzo si ritrasse, sbloccò la sedia a rotelle e poi finse di dover cercare qualcosa dentro uno scaffale, aspettando che il viso riprendesse l’incarnato pallido di sempre. Valentina, invece, indossò il cappotto che aveva lasciato sopra sedia.
- Ciao.
Lui non si voltò a salutarla.
Valentina riprese al contrario il corridoio per arrivare nell’altra stanza, e trovò Vincenzo Boniolo che faceva le parole crociate. Le sorrise e lei se ne andò.

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