Quasi fosse estraneo a se stesso, il vecchio si soprese prima del caldo liquido che solcava la coscia, poi del brivido contrario provocato dal vento gelido che appiccicava i pantaloni del pigiama alla striscia di piscio che era arrivata fin sopra il ginocchio. Se fosse stato al supermercato, o sulla panchina del parco, avrebbe abbassato gli occhi gialli di cataratta sulla striscia bagnata, sopraffatto dalla pieta' di chi di avesse compreso tutto, impotente di fronte all'ineluttabilita' della vecchiaia, e avrebbe cercato una via d'uscita dagli sguardi compassionevoli del mondo sano, che gli tributava un rispetto fatto di finta noncuranza, di fronte ad una difficolta' che, prima o poi, poteva rappresentare a chi guardava uno degli epiloghi possibili. Ma Aristide Boniolo ritrasse istintivamente il bacino indietro, per evitare soltanto che l'aria fredda gelasse la sua incontinenza, perche' di fronte a lui, in mezzo alle sterpaglie irregolari dell'aiuola povera dove portava a cacare il cane ogni sera, illuminato solo in parte dal bianco lattiginoso di un lampione, c'era un corpo sdraiato, un uomo forse morto, o svenuto, comunque l'unica persona che potesse accorgersi del pigama, del piscio, della paura che aveva attraversato il vecchio in due brividi diversi.
Il cane annusava veloce attorno al corpo che Aristide Boniolo pote' osservare meglio: il dovere civico del soccorso venne meno dall'assenza di persone attorno. Voleva chiamare un'ambulanza, ma non aveva il telefono con sé, e nel quartiere da un po' non si faceva che dire di quanto spaccio, quanto degrado aveva trovato posto tra le panchine della piazzetta, al parco giochi, per strada. Il cane non abbaiava, si limitava a soffiare fiato caldo dalle narici, sembrava dovesse cercare qualcosa. Aristide lo tirò via, trascinò la breve resistenza del cane claudicando, provando schifo per il bagnato sulla coscia e per la sua patetica inutilità. 

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