Arrivarono al pontile, e il sole basso le dipinse d’ambra metà del viso.
Per tutto il tragitto aveva provato a non guardarla, per non impantanarsi, fino alla gola, nel guado delle sue ciglia.
Finì che la osservava a scampoli.
Le mani arrivarono al contatto, ed entrambi furono attraversati un brivido piacevole.
Sapevano che sarebbe successo qualcosa, meglio, volevano che succedesse qualcosa, ma in maniera naturale, godendo ogni semplice combinazione, che sembrava la ricorrenza di un destino ineluttabile.
La stanchezza di lui era colata in fondo alla camicia, che usciva fuori, libera dai pantaloni. I capelli lunghi e la postura ciondolante gli attribuivano un’aura piuttosto buffa.
Lei, sorretta da un fiore bianco, sorrideva in silenzio contemplando i propri passi, e sembrava immersa dentro un dialogo pieno di assonanze e futuribili periodi ipotetici, sospesa tra l’ultima luce e il fiume, che cominciava a risalire le nuvole in spire di vapore leggero.
Quando le dita finalmente s’intrecciarono, lo guardò negli occhi, e i suoi s’accesero come le lucciole che escono dai tronchi cavi.
Non disse nulla, le baciò piano le labbra e la sua bocca si saziò, per la prima volta, di fragole, ortica e zenzero.
Il fiume li sorprese a scorrere, lui ciondolante, lei bellissima.
E mentre andavano verso casa i germani reali pulivano le piume.

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