Non è possibile, pensò il signor Fernando Gallucci affacciato alla finestra del suo appartamento al quarto piano. Rientrò in casa e lasciò che la mano destra, eccitata dal Parkinson, fosse trattenuta dalla tasca della vestaglia. Non è possibile, e scosse la testa secca, frugando con la mano buona dentro un cassetto. Prese una chiave vecchia e di bronzo, come quelle che venivano fabbricate una volta. Una volta, quando le cose andavano bene e il viale sotto casa non era pieno di negri con le loro borse false. Sua moglie non avrebbe mai comprato quelle borse così dozzinali. Si vedeva dalle cuciture storte e dai rivetti. Una volta era pulito, lì sotto, e la gente usciva con la cravatta e lui si toglieva il cappello quando incontrava qualcuno. Una volta non c’era quella puzza di gas di scarico che aveva annerito pure la voglia di salutare, una volta si potevano stendere i panni fuori. Non è possibile, disse solo con le labbra, ed aprì la teca che custodiva i due fucili, dritti e scuri come il giorno che aveva giurato fedeltà al duce, e ne prese uno. Non aveva più sparato da quando la malattia aveva compromesso anche la possibilità di tenere in mano il mestolo per girare la pasta. Le pantofole marroni attraversarono il salotto congelato dentro agli anni sessanta, e Fernando guardò le foto della moglie ritratta a Firenze, di fronte al duomo. Passò l’indice sopra il vetro che preservava il viso della donna dal pulviscolo grigio, che si depositava sul comò in ciliegio e scendeva a nascondersi in gomitoli inconsistenti, sotto il divano. Da tempo non riusciva ad attaccare le immagini agli eventi e per questo s’era riparato sotto la dinamica di consuetudini domestiche, mentre tutt’attorno il tempo sommesso dell’attesa sgocciolava come i rubinetti chiusi male, cogliendolo insonne, con l’unica preoccupazione dei nomi delle medicine, conservate dentro il frigorifero insieme alle uova. Trascinò i piedi fino al balcone, con la mano tremante sorresse il fucile e sparò.
Quando scese in strada vide soltanto un enorme macchia scura di sangue sull’asfalto. Aveva ucciso il cavallo ed il carabiniere, invece, s’era slogato un polso. Peccato, pensò Fernando Gallucci, mentre i nervi impazziti facevano risuonare le manette come campanelli.

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